Larry (l’uccellino di Twitter) e quello strano cinguettio che sa di censura e limitazione della libertà

Chiusure, sospensioni e limitazioni di account: Twitter si sta sostituendo sempre di più alla giustizia ordinaria, con ripercussioni da non sottovalutare.


In pochi giorni Larry (l’uccellino di Twitter) è balzato al centro della cronaca.

Prima la chiusura dell’account del Presidente statunitense Donald Trump per i sui tweet giudicati pericolosi e incitatori di violenza, poi la limitazione e sospensione dell’account del giornale italiano Libero (senza specificato motivo).

Immagino che per molti di voi sia tutto normale e tutto accettabile.

Personalmente, però, ritengo queste azioni un pericoloso precedente, e mi stupisco dell’assordante silenzio.

Cosa sta succedendo ai social?

La censura si sta allargando velocemente a tutti coloro che non si assoggettano al pensiero unico. 

Twitter e gli altri social sono agenzie private e, sicuramente, hanno il pieno diritto di limitare chiunque, ma siamo sicuri che questo diritto all’imbavagliamento sia segno di democrazia? 

Democrazia è pluralismo di voci, non intolleranza nei confronti delle voci avverse.

Con questi atti censori Twitter non sta colpendo Trump o Libero, sta minando le fondamenta della democrazia.

L’azione di Twitter è censura e sopruso.  

Sicuramente Trump ha scritto cose sbagliate, forse anche troppo “violente” e forse Libero scrive a volte “senza peli sulla lingua”.

Ma questo è il mio giudizio e il mio giudizio, come quello di chiunque altro, non può essere Legge insindacabile e autorizzazione all’imbavagliamento. 

E poi, che diritto ha Twitter di decidere chi può scrivere e chi invece deve tacere? 

La censura, se deve essere fatta, dovrebbe conservare almeno un minimo di coerenza. 

Se si mette il bavaglio al Presidente Trump (ancora in carica) per il suo incitamento all’eversione non si capisce perché si permetta all’ayatollah iraniano Khamenei, nel cui Paese continuano le impiccagioni di dissidenti e le persecuzioni contro le donne, di scrivere che Israele è un cancro maligno in Medio Oriente che va rimosso e sradicato (e non ci vuole molta fantasia per immaginare come verrebbe effettuato lo “sradicamento”). 

Oppure perché dittatori o leader a forte vocazione autoritaria, come il Presidente cinese Xi Jinping e il Presidente russo Putin, il Raiss turco Erdogan e il Caudillo Maduro in Venezuela debbano usufruire dello spazio pubblico dei social, con post che sono molto più violenti di quelli del pur “agitato” Trump.

Il problema è molto serio perché oggi tutti noi siamo diventati “ostaggi” delle società private che possono, a loro discrezione, rimuovere contenuti o segnalarne le criticità. 

In questo modo, il tema della censura, che dovrebbe essere unicamente rimesso al potere giudiziario, è stato delegato ai social network che possono, oggettivamente, influenzare l’opinione pubblica.

Le vicende di Trump o di Libero fanno scalpore, ma lo strapotere di Twitter e di altri social network riguarda tutti noi.

È arrivato il momento che questo tema, essenziale per lo svolgimento futuro del dibattito sociale e politico, esca dalla dimensione dei tweet e dei post per assumere la rilevanza che merita prima che sia troppo tardi, perché ad essere messe in discussione sono le libertà civili.


Riccardo Bonsi

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